FATTI DI CAUSA
La Corte d’AppeIIo di Perugia, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Terni ex art.1 comma 57 1.92 del 2012, ed in accoglimento del reclamo proposto dalla societa cooperativa rigettava Ie domande proposte da intese a conseguire la declaratoria di illegittimita del licenziamento disciplinare intimatogli in data 22/11/2013 e Ie pronunce consequenziali alia applicazione deII’art.18 nella versione di testo applicabile ratione temporis.
La Corte distrettuale perveniva a tali approdi sulla scorta dei seguenti rilievi:
- la contestazione disciplinare formulata nei confronti del dipendente, impiegato presso il punto vendita deII’Ipermercato di Terni, aveva ad oggetto il prelievo e I’utiIizzo per uso personale reiterato nove volte dal 18 al 24 ottobre 2013 – di prodotti del reparto dolciumi del magazzino, con il conseguente inadempimento agli obblighi su di lui gravanti connessi alle mansioni ascritte di addetto alle vendite nonché alia custodia dei prodotti aziendali con la diligenza e la lealtà doverose;
- detta contestazione era assistita, quanto alle sue modalità espositive, dal carattere di specificità, ed era risultata Comprovata alla stregua delle riprese di una telecamera installata nei locali ove si erano verificati i furti contestati, allo scopo di individuare gli autori delle pregresse sottrazioni denunciate dal direttore deII’esercizio commerciale;
- la telecamera riprendeva unicamente Io scaffale sul quale erano collocati i prodotti dolciari, Ie cui operazioni di movimentazione erano affidate agli addetti di agenzie esterne (cd.merchaad/ser) e non ai dipendenti della cooperativa;
- dal contratto stipulato con I’ agenzia investigativa, si evinceva che la società cooperativa aveva inteso accertare gli autori di comportamenti illeciti, successivamente riscontrati, che si erano evidentemente già manifestati in precedenza;
- la registrazione delle immagini realizzata dalla strumentazione apposta dalla società di investigazione nei locali aziendali, integrava una ipotesi di cd.controIlo difensivo occulto, attuato con modalità non peculiarmente invasive, e rispettose delle garanzie di liberta e dignità dei dipendenti, non avendo “ad oggetto l’attività lavorativa più propriamente detta ed il suo esatto adempimento”;
- siffatta tipologia di controllo, in coerenza con un consolidato orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimita, esulava, quindi, dal campo di applicazione dell’art.4 dello statuto dei lavoratori, dovendo ritenersi assolutamente legittima e idonea a giustificare il licenziamento intimato per giusta causa in coerenza coi dettami di cui aII’art.191
c.c.n.I..;
- la condotta assunta dal lavoratore, che aveva reiterato la sottrazione dei prodotti in nove occasioni neII’arco di circa sei giorni, nella prospettiva dei futuri comportamenti, era tale da indurre la parte datoriale a formulare una prog nosi negativa circa il futuro adempimento delle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro.
Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione il lavoratore affidato a due motivi.
Resiste con controricorso la societa cooperativa.
Entrambe ie parti hanno depositato memoria illustrativa ai sensi deII’art. 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
- Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt.4 e 7 I.300/1970, d.Igs. n.193/2006, artt.1363 e 2697 c.c., art.115 c.p.c. nonché degli artt.210,2d 5 e 291 c.c.n.l. di settore ex art.360 comma primo n.3 c.p.c..
- Critica la sentenza impugnata per aver qualificato in termini di specificita e completezza, la contestazione disciplinare, redatta secondo modalita che vulneravano il disposto di cui all’art.7 1.300/70, non essendo specificata la tipologia di prodotti sottratti, la marca, ie modalita dei rilievi svolti, il luogo in cui erano collocati i beni. Lamenta altresi che siano stati considerati legittimi i controlli eseguiti dalla societa investigativa, non emergendo dal contratto stipulato con la societa datoriale, la consapevolezza della sussistenza di illeciti perpetrati in precedenza, di guisa che la mancanza di dati certi conferiva un carattere meramente esplorativo al mandato. Deduce, quindi, I’erroneitâ della pronuncia in quanto resa in violazione dei dettami di c’ai all’art.4 I.300/70 ed in assenza di alcun coordinamento con la legge n.675/96 attuativa della Direttiva Comunitaria 46/95 CE trasfusa nel codice privacy (d. Igs. n.196/2003 art.114), con annullamento di ogni garanzia posta dalle citate disposizioni a tutela del lavoratore.
- II ricorrente cenou ra, infi ne, gli approd i ai quali é pervenuto il giudice
* deII’impugnazione prospettandone il contrasto con ie disposizioni contrattuali collettive e, segnatamente, con gli artt. 191, 210 e 215
c.c.n.I. di settore recanti una graduazione della gravitâ delle cond.otte sanzionate che non consentivano di ritenere appropriata la sanzione disciplinare inflitta, rispetto alla condotta che si assume posta in essere dal lavoratore.
- II motivo, nelle sue diverse articolazioni, va disatteso, alla luce delle seguenti considerazioni.
La doglianza formulata con riferimento al difetto di specificita della contestazione, si presenta carente sotto plurimi concorrenti profili.
Al di la di ogni considerazione in ordine alla mancata indicazione della collocazione in atti del documento ed alia sua omessa integrale produzione, che ridonda in termini di improcedibilita del motivo per violazione dei dettami di cui aIl’art. 369 comma 2 n.4 c.p.c. (vedi ex plurimis, Cass. 4/3/2015 n.4350), non pud tralasciarsi di considerare che in tema di interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata, il sindacato di legittimita non puo investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene aII’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicita della motivazione addotta, con conseguente inammissibilita di ogni critica alla ricostruzione della volonta negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (vedi Cass. 10/2/2015 n.2465).
Nello specifico la Corte distrettuale, come riferito nello storico di lite, ha proceduto alla disamina deII’atto di incolpazione precisando che recava puntuale indicazione non solo della condotta, ma anche del giorno e deII’ora in cui era stata posta in essere, con la conseguenza che il lavoratore era stato posto nelle condizioni di potersi difendere adeguatamente.
- Si tratta di motivazione non rispondente ai requisiti della assoluta omissione o della mera apparenza rilevabile ai sensi dell’art.360 comma primo n.5 c.p.c. nella versione di testo applicabile ratione temporis, oltre che conforme a diritto, perché coerente con i dicta di questa Corte secondo cui in tema di licenziamento disciplinare, I’esigenza della specificita della contestazione, prescritta daII’art. 7 della legge n. 300 del 1970, non obbedisce ai rigidi canoni che presiedono alLa formulazione
- deII’accusa nel processo penale, né si ispira ad uno schema precostituito e
ad una regola assoluta e astratta, ma si ’modella in relazione ai principi di
correttezza che informano un rapporto interpersonale che gia esiste tra ie parti, ed e funzionalmente e teleologicamente finalizzata alla esclusiva soddisfazione deII’interesse dell’incoI pato ad esercitare pienamente il diritto di difesa. Cio implica che la contestazione inviata al lavoratore, pur senza essere analitica, deve contenere la esposizione dei dati e degli aspetti essenziali del fatto materiale posto a base del licenziamento, restando la verifica della sussistenza dei requisito anzidetto rimessa al giudice del merito, il cui apprezzamento, se congruamente e correttamente motivato — come nella specie – é incensurabile in sede di legittimita (vedi Cass. 2016 n. 6898, Cass., n. 14451 del 2012, n.27842
del 2009).
6. Con riferimento alla censura concernente la violazione dei dettami di cui all’art.4 legge n.300 del 1970 e delle disposizioni trasfuse nel d. Igs. n.196/2003 art.114, si osserva quanto segue.
La tematica attinente ai cd. “controlli difensivi”, cioé quei controlli che il datore di lavoro pone in essere al fine di accertare il compimento di eventuali condotte illecite, é stata ampiamente scrutinata dalla giurisprudenza di legittimita, nella vigenza del testo di cui all’art.4 legge 20/5/1970 n.300, anteriore alia riscrittura disposta dall’art.23 d. Igs. 14/9/2015 n.151.
Come affermato in precedenti arresti di questa Corte, il citato art.4 “fa parte di quella complessa normativa diretta a contenere in vario modo Ie manifestazioni del potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro che, per ie modalita di attuazione incidenti nella sfera della persona, si ritengono lesive della dignita e della riservatezza del lavoratore” (Cass., 17/6/2000, n. 8250), sul presupposto “espressamente precisato nella Relazione ministeriale – che la vigilanza sul lavoro, ancorché necessaria neII’organizzazione produttiva, vada mantenuta in una dimensione umana, e cioé non esasperata daII’uso di tecnologie che possono rendere la vigilanza stessa continua e anelastica, eliminando ogni zona di riservatezza e di autonomia nello svolgimento del lavoro” (Cass., n. 8250/2000, cit., Cass., 17/7/2007, n. 15892, e da Cass., 23/2/2012, n.
2722, Cass. 27/5/2015 n.10955).
I principi affermati da un più risalente indirizzo con il quale si é statuito che l’adozione di strumenti di controllo a carattere “difensivo” non necessitava tout court del preventivo accordo con Ie rappresentanze sindacali né di alcuna specifica autorizzazione, in quanto volto a prevenire
condotte illecite suscettibili di mettere in pericolo la sicurezza del patrimonio aziendale ed il regolare, corretto svolgimento della prestazione lavorativa (vedi Cass. 3/4/2002 n.4647), sono stati, quindi, armonizzati con I’uIteriore principio in base al quale I’esigenza di evitare il compimento di condotte illecite da parte dei dipendenti, non può assumere una portata tale da giustificare un sostanziale annullamento di ogni forma di garanzia della dignità e della riservatezza del lavoratore.
- Nell’ottica descritta, e pur nella diversité di sfumature che connotano i dicta giurisprudenziali emessi sulla questione dibattuta in relazione alla peculiarité delle fattispecie esaminate, si é pervenuti alla affermazione di una tendenziale ammissibilitâ dei controlli difensivi “occulti”, anche ad opera di personale estraneo aII’organizzazione aziendale, in quanto diretti aIl’accertamento di comportamenti illeciti diversi dal mero inadempimento della prestazione lavorativa, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, ferma comunque restando la necessaria esplicazione delle attivita di accertamento mediante modalita non eccessivamente invasive e rispettose delle garanzie di libertâ e dignita dei dipendenti, con ie quali I’interesse del datore di lavoro al controllo ed alia difesa della organizzazione produttiva aziendale deve contemperarsi, e, in ogni caso, sempre secondo i canoni generali della correttezza e buona fede contrattuale (vedi in tali sensi, Cass. cit.n.10955 del 2015}.
Nel solco di tale indirizzo si colloca altresì il recente arresto di questa Corte che in fattispecie che si presenta sotto taluni aspetti analoga a quella in questa sede scrutinata, (vedi Cass. 8/11/2016 n.22662) ha affermato il principio secondo cui non é soggetta alia disciplina dell’art.4, comma 2 Statuto dei Lavoratori l’installazione di impianti e apparecchiature di controllo poste a tutela del patrimonio aziendale dalle quali non derivi anche la possibilità di control to a distanza deII’ attività lavorativa, ne risulti in alcun modo compromessa la dignità e la riservatezza dei lavoratori.
Può dunque ritenersi che siffatta lettura del dato normativo considerato appaia rispettosa deII’ opzione ermeneutica patrocinata anche in dottrina, secondo cui I’interpretazione della disposizione va ispirata ad un equo e ragionevole bilanciamento fra ie disposizioni costituzionali che garantiscono il diritto alla dignità e liberta del lavoratore neII’esercizio delle sue prestazioni oltre al diritto del cittadino al rispetto della propria persona (artt. 1,3, 35 e 38 Cost.), ed il libero esercizio della attività imprenditoriale (art.41 Cost.), con I’uIteriore considerazione che non risponderebbe ad alcun criterio logico-sistematico garantire al lavoratore
— in presenza di condotte illecite sanzionabili penalmente o con la sanzione espulsiva — una tutela alia sua “persona” maggiore di quella riconosciuta ai terzi estranei aII’impresa.
Siffatti approdi ermeneutici appaiono del resto coerenti con i principi dettati dall’art.8 della Convenzione Europea dei Diritti deIl’Uomo in base al quale neII’uso degli strumenti di controllo, deve individuarsi un giusto equilibrio fra i contrapposti diritti sulla base dei principi della “ragionevolezza” e della “proporzionalita” (cfr. Cedu 12/1/2016 Barbulescu c.Romania secondo cui lo strumento di controllo deve essere contehuto nella portata e, dunque, proporzionato).
- Orbene, nello specifico, va rimarcato come la pronuncia impugnata si collochi nel solco dei richiamati dicta giurisprudenziali, avendo rilevato che la telecamera era stata installata nel locale magazzino dell’Ipermercato ove erano collocati i prodotti dolciari della e che Ie operazioni relative al magazzino non rientravano neII’ambito delle mansioni di competenza dei dipendenti trattandosi di compiti affidati agli addetti di agenzie esterne (cd.merchandiser).
Correttamente i giudici del gravame hanno, pertanto, ritenuto che l’attivitâ di controllo posta in essere dalla parte datoriale non aveva avuto ad oggetto I’attivitâ lavorativa ed il suo corretto adempimento; era s”tata attuata “con modalita non eccessivamente invasive”; era stata ispirata alla necessitâ di tutelare il patrimonio aziendale. Quale corollario di tali accertamenti, hanno, quindi, coerentemente concluso che l’attivitâ posta in essere dalla datrice di lavoro si poneva al di fuori del campo di applicazione dell’art.4 1.300 del 1970.
Anche sotto tale profilo la doglianza, per quanto sinora detto, si palesa infondata.
- Prive di pregio si presentano poi, ie ulteriori critiche formulate da parte ricorrente con riferimento alia pretesa violazione degli artt.1362-1363 c.c. neII’interpretazione del contenuto del contratto di mandato di investigazione privata stipulato dalla icon I’m.
Nei gia citati arresti giurisprudenziali (vedi in motivazione Cass. 27/5/2015 n.10955, cui adde Cass. 14/2/2011 n.3590, Cass. 9/7/2008 n.18821) laddove é stata affermata la legittimità dei controlli in relazione ad illeciti non attinenti al mero inadempimento della prestazione lavorativa, ma incidenti sul patrimonio aziendale, si é precisato che non dovessero presupporre necessariamente illeciti già commessi, restando giustificato
I’intervento in questione non solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e I’esigenza di verificarne il contenuto, ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione.
Ne discende che, pur volendo sottacersi in ordine al difetto di specificité del motivo – che non reca puntuale riproduzione del tenore del contratto di cui si discute – nonché agli ulteriori ’profili di inammissibilita che la connotano, giacché, per il tramite del vizio denunciato ex art.360 c.1 n.3 relativo alla violazione di canoni ermeneutici, neanche enunciati specificamente, si intende pervenire inammissibilmente ad una rinnovata valutazione degli approdi ai quali e pervenuta la Corte territoriale, la censura, per ie ragioni sin qui esposte, va disattesa.
- Quanto alla denunciata violazione degli artt.191-210-215 c.c. n.I. imprese distribuzione cooperative si impone I’evidenza della improcedibilità del motivo per violazione dei dettami di cui all’art.369 c.p.c., comma 2, n. 4, in difetto della produzione, unitamente al ricorso per cassazione, del contratto collettivo in forma integrale, oltre che di ogni precisa indicazione circa il tempo e il luogo della sua produzione nelle pregresse fasi del giudizio e I’attuaIe sua collocazione nel fascicolo del giudizio di cassazione.
Questa Corte ha infatti gia avuto modo di statuire (vedi Cass. 4/3/2015 n.435, Cass. 2/8/2013 n.18529), che I’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi su cui il ricorso si fonda – imposto, a pena di improcedibilitâ, dall’art.369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, nella nuova formulazione di cui at D.Lgs. 2 febbraio 2006, n.40 – non puo dirsi soddisfatto con la trascrizione nel ricorso delle sole disposizioni della cui violazione il ricorrente si duole attraverso Ie censure alla sentenza impugnata, dovendosi ritenere che la produzione parziale di un documento sia incompatibile con i principi generali deIl’ordinamento e con i criteri di fondo delI’intervento legislativo di cui al citato D.Lgs. n.40 del 2006, intesi a potenziare la funzione nomofilattica della Corte di cassazione, e non consente di escludere che in altre parti dello stesso vi siano disposizioni indirettamente rilevanti per I’interpretazione esaustiva della questione che interessa.
Nello specifico, non solo ie disposizioni pattizie non sono state riportate nel loro contenuto, ma neanche risulta indicata la collocazione in atti del contratto collettivo in forma integrale, in coerenza con i principi sinora esposti, cosi esponendosi la censura, ad un giudizio di improcedibilità.
- Con il secondo motivo si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione aII’art. 360 comma primo n.5 c.p.c..
Si lamenta che la Corte distrettuale abbia ritenuto non contestato il compimento della condotta da parte del lavoratore, benché egli avesse respinto in ogni sede gli addebiti.
- motivo si palesa inammissibile.
Nella interpretazione resa dai recenti arresti delle Sezioni Unite di questa Corte, alla luce dei canoni ermeneutici dettami dall’art.12 delle preleggi (vedi Cass. S.U. 7/4/2014 n.8053), la disposizione va letta in un’ottica di riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione. Scompare, quindi, nella condivisibile opinione espressa dalla Corte, il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta quello sulI’esistenza (sotto il profilo dell’assoIuta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorieta e dell’ilIogicità manifesta) della motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata.
II controllo previsto dal nuovo n. 5) dell’art. 360 cod. proc. civ. concerne, dunque, l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo.
L’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra I’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte Ie risultanze probatorie astrattamente rilevanti.
- Applicando i suddetti principi alia fattispecie qui scrutinata, non può prescindersi dal rilievo che tramite la articolata censura, la parte ricorrente, contravvenendo ai detti principi, sollecita un’ inammissibiIe rivalutazione dei dati istruttori acquisiti in giudizio, esaustivamente esaminati dalla Corte territoriale, auspicandone un’interpretazione a se più favorevole, non ammissibile nella presente sede di legittimità.
Lo specifico iter motivazionale sequito dai giudici deII’ impugnazione non risponde infatti ai requisiti deII’assoluta omissione, della mera apparenza ovvero della irriducibile contraddittorietà e deII’ iIIogicità manifesta, che
avrebbero potuto giustificare l’esercizio del sindacato di legittimità, onde la statuizione resiste comunque alla censura aIl’esame. Facendo leva sui dati acquisiti in sede istruttoria, la Corte di merito ha argomentato in ordine alia mancata contestazione della circostanza relativa alla appropriazione dei beni da parte del, il quale non aveva negato I’addebito né a seguito della contestazione, né a seguito del licenziamento, e neanche in sede giudiziaria, non avendo contestato la circostanza in sede di ricorso introduttivo del giudizio.
13. In definitiva, alla stregua delle superiori argomentazioni, il ricorso non merita accoglimento.
II governo delle spese del presente giudizio segue, inline, il regime della compensazione, tenuto conto dei diversi esiti della controversia ai quali si é pervenuti nel giudizio di merito.
Occorre, inline, dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, deIl’uIteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa fra le parti Ie spese del presente
giudizio.
Ai sensi delI’art.13 comma 1 quater d.p.r. n.115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte deg ricorrente, deII’uIteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
Cosi deciso in Roma il 26 gennaio 2017.